Startup & Entrepreneurship

Dal talento al business episodio tre: Giovanna Vitacca

brand identity e personal branding

Questa è la storia di chi ha creato una linea aziendale da una professione tipicamente consumer: Giovanna Vitacca, style and communication consultant.

Il mio viaggio nelle startup prosegue senza sosta, l’ultima volta abbiamo conosciuto Elena Dossi, in arte Rinchiudetely: una professional organizer con una linea interamente dedicata al business.
Oggi vi presento un’altra donna che ha creato una linea “aziendale” partendo da una professione tipicamente consumer: Giovanna Vitacca, style and communication consultant.

Professione consulente di immagine e brand identity aziendale

Q. Giovanna, ho sempre pensato che le “consulenti di immagine” si occupassero di valutare e sistemare il look di uomini e donne che non si sentivano più a proprio agio guardandosi allo specchio. Invece vedo che tu ti rivolgi alle aziende, mi spieghi meglio?

A. Ho scelto di rivolgermi alle aziende perché, quando ho deciso di intraprendere questa professione, volevo dialogare con un target diverso dal quello canonico della consulenza di immagine (che in Italia sono per lo più i privati). Inoltre inserendomi in un mercato già attivo per me era fondamentale posizionarmi in una nicchia che non fosse già presidiata da altre colleghe.
Detto questo le aziende sono in realtà fatte di persone, quindi mi rivolgo sempre a dei privati, ma che operano in un contesto professionale.
Le aziende sono un terreno molto interessante anche in considerazione del momento storico che stiamo vivendo. In un mondo dove tutti sono altamente esposti, per il solo fatto di avere un profilo social, è importante imparare a gestire la propria immagine.
Prima un dipendente era un “numero” all’interno della piramide, oggi è di fatto un “ambassador” del brand per cui lavora. Ne consegue che sul web ogni forma di espressione del singolo individuo (foto, video, contenuti) diventa veicolo mediatico che può in qualche modo impattare anche sull’immagine dell’azienda, oltre che sulla sua.
Brand Identity e Personal Branding sono due facce della stessa medaglia e il comune denominatore è la REPUTATION, che a sua volta porta con sé concetti di credibilità, autorevolezza, fiducia, trasparenza, etica.

Q. Mi sembra un percorso molto interessante, come sei arrivata a costruire questo ruolo professionale?

A. La spinta devo ammetterlo è arrivata dall’esperienza che ho vissuto in America dove sui temi del personal branding e dell’image consulting sono avanti anni luce rispetto a noi.
In Italia il tema del look è ancora molto associato al mondo dello spettacolo, cinema, televisione. In generale questa figura professionale non è ancora percepita pienamente e i servizi di Consulenza di Immagine non sono ancora sentiti come un bisogno, ma come un vezzo, un “lusso”, qualcosa di non fondamentale di cui si può fare a meno e su cui investire solo come “spesa extra” e soprattutto “una tantum”.
Tornata in Italia ho voluto che la mia mission come Style Coach fosse promuovere il valore del tema “look” anche nella vita delle persone comuni perché si comprenda che avere una buona immagine non è solo finalizzato a partecipare a una cena di gala o una cerimonia, ma aiuta molto a vivere pienamente anche la vita personale e professionale.
Qui entriamo nel merito dei concetto di empowerment, crescita personale, motivazione.
Vestire bene i propri panni (dal punto di vista dei colori, del modello, dello stile) permette di  accrescere la propria autostima, fiducia in se stessi, sicurezza; consente di esprimere al meglio i propri talenti e potenzialità; aiuta ad affrontare con maggiore consapevolezza e intraprendenza le diverse situazioni e a raggiungere quindi con successo gli obiettivi che ci siamo prefissati.
So che sembra tutto molto altisonante e ambizioso se pensiamo che si parte da un semplice vestito, ma assicuro che è proprio così.
Ci sono delle ricerche, realizzate negli Stati Uniti, che confermano quanto avere una buona immagine concorra a raggiungere più velocemente e con successo obiettivi personali e professionali.
Questo vale per i liberi professionisti, ma anche per le aziende perché introdurre questo tema significa lavorare su uno dei tasselli fondamentali di quello che oggi viene chiamato Employee Branding.

Q. So che hai un sogno nel cassetto riguardo alla formazione, me ne parli meglio?

A. Come dicevo oggi in Italia il ruolo del Consulente di Immagine non è percepito pienamente e ritengo che ciò accada perché non è una figura riconosciuta istituzionalmente.
Esistono tante realtà, gestite da privati, che organizzano corsi, ma nessuno offre un diploma, una certificazione, ma solo attestati di frequenza. Non esiste un percorso professionalizzante. Non esiste un albo, un’associazione nazionale.
Oggi la maggior parte delle Consulenti di Immagine sono donne dai 35 anni in su che si sono reinventate partendo dalle più svariate professionalità: chi faceva l’estetista, chi la titolare di negozio, chi l’architetto, chi marketing…
Io stessa facevo altro prima: vengo dalla comunicazione e dal marketing aziendale!
Siamo la prima linea, le pioniere, ma dopo di noi?
Oggi non capita di sentire una ragazza che finito il liceo dica “vado a fare la scuola per diventare Consulente di Immagine”. Non esistono realtà che possono essere equiparate a un percorso universitario con corsi strutturati ben più lunghi di un workshop di 8 ore o della durata di un weekend.
Questo è ciò che vorrei fare io: creare una scuola di formazione che proponga corsi triennali e master.
Una realtà che offra una certificazione, che preveda esami, commissioni di valutazione, diplomi.
E, a monte, creare un’associazione nazionale delle consulenti di immagine che metta un po’ di ordine sul fronte formazione, ma anche nell’offerta dei servizi e dei listini.
Oggi dal punto di vista dei prezzi è una giungla, il tutto senza una reale motivazione e al netto delle competenze e della qualità del servizio offerto. Questo non va bene.
Se già questa figura professionale non è ancora pienamente percepita, creare disorientamento anche sul valore del servizio genera solo confusione all’utente finale che si chiede come mai si passa da 1000€ a 300€.
Ci deve essere un controllo, un allineamento pur tenendo conto delle peculiarità del territorio locale e del singolo professionista. Va bene tollerare un certo delta, ma non un gap così elevato!
Il progetto è gigantesco e ambizioso, ma ritengo sia un atto dovuto per chi come me crede nel futuro di questa professionale e vuole che le nuove generazioni la considerino una vera alternativa a professioni più tradizionali.

Dal talento al business episodio tre: Giovanna Vitacca

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