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Data + analytics = success. L'impatto dei Big Data nei processi aziendali

Big Data nei processi aziendali

Data + analytics = success. L'impatto dei Big Data nei processi aziendali

I dati stanno cambiando il mondo e il modo in cui viviamo e lavoriamo a una velocità mai vista prima. Ogni due giorni creiamo la stessa quantità di dati che sono stati prodotti dall’inizio dei tempi al 2003. Nei prossimi tre anni tale quantità crescerà dagli attuali 5 zettabytes (1 zettabyte = 1 miliardo di terabyte) a oltre 50 zettabytes.

Ogni azione che compiamo, quando navighiamo in Rete o paghiamo con la carta di credito all’interno di un punto vendita, quando scattiamo una foto con il nostro smartphone o inviamo un’email, genera una traccia digitale alla quale si somma una quantità crescente di dati generati in automatico: telecamere di sorveglianza (secondo alcune stime in Italia ce ne sarebbero oltre 2 milioni, una ogni 30 abitanti), contatori intelligenti per luce e gas, lampioni, ascensori e altri sensori montati su una varietà crescente di dispositivi domestici e industriali (Internet of Things).

Ma la differenza tra il passato e oggi non è solo nella quantità, ma anche nella tipologia. Fino a pochi anni gli unici dati a disposizione delle aziende erano limitati a fogli di calcolo e database relazionali. Tutto quello che non era organizzato in righe e colonne era troppo difficile da lavorare e veniva semplicemente ignorato. Oggi, il termine Big Data fa riferimento sia alla enorme mole di informazioni che vengono raccolte, che alla loro natura di dati strutturati (i classici DB relazionali) e non strutturati composti da documenti di testo, immagini e video.

Le aziende hanno di fronte una duplice sfida: non si tratta solo di introdurre in azienda nuovi ed ulteriori strumenti per raccogliere e analizzare i dati (Analytics), ma anche di definire una data strategy che consenta di estrarre conoscenza e quindi valore dalla montagna di informazioni disponibili. Si deve necessariamente passare da una logica di uso dei dati finalizzata al singolo progetto, ad una strategia che valorizzi standard, collaborazione e riuso in modo del tutto analogo a quanto accade da tempo nel mondo dello sviluppo software. Tutte le iniziative di data management devono rientrare all’interno di una road map condivisa tra le diverse business unit dell’azienda.

SAS descrive 5 elementi chiave che devono lavorare insieme per supportare in modo efficace il data management all’interno di un’azienda: identificazione, memorizzazione, condivisione, integrazione e gestione (fig.1)

Identificare il dato significa catalogarlo in modo univoco all’interno dell’azienda attraverso i metadati indipendentemente dalla struttura, dall’origine, dal luogo fisico di memorizzazione. Lo storage deve essere pensato per minimizzarne la duplicazione nei diversi data silos a favore di strumenti di condivisione sicuri e di facile implementazione. Definire delle logiche per l’accesso e per il riuso del dato intraprendendo un percorso che porti all’integrazione delle diverse sorgenti presenti in azienda, è il passo necessario per arrivare a una data governance in grado di guidare l’intera struttura in ogni futura evoluzione di business o tecnologica.

Fig. 1: I 5 componenti chiave di una data strategy.

Nell’ambito dell’identificazione e della valorizzazione del dato, possiamo delineare quattro categorie di analisi possibili:

  • Descrittiva, fotografa il passato e il presente dei processi aziendali e dei flussi produttivi, e rende accessibili i principali indicatori di performance al management dell’azienda in modo sintetico e facilmente intellegibile attraverso grafici ed altri ausili visivi nell’ambito della data visualization. Risponde alle domande “cosa è accaduto/sta accadendo e perché?”.
  • Predittiva, sfrutta le potenziali correlazioni tra dataset aziendali (comportamento d’acquisto degli utenti, dati di vendita) e tra questi e dataset esterni (dati meteorologici, eventi rilevanti in ambiti eterogenei: ambientale, politico, sportivo, etc.) per individuare pattern ricorrenti su base storica e progettare algoritmi in grado di anticipare l’evoluzione dei processi e definire i trend di sviluppo del business. Risponde alla domanda: “cosa accadrà?”.
  • Prescrittiva, rappresenta l’evoluzione del modello predittivo. Gli algoritmi non vengono sfruttati solo per suggerire gli scenari futuri ma, attraverso tecniche avanzate di machine learning, per fornire ai decision maker dell’azienda soluzioni operative e strategiche sulla base delle analisi svolte: raccomandare un prodotto, ottimizzare le vendite, investire nello sviluppo di un determinata tecnologia. Risponde alla domanda: “cosa mi conviene fare?”.
  • Automatizzata, è l’anello finale del processo. Con l’incremento della quantità di dati e la complessità delle interazioni tra di essi, cresce la disponibilità di strumenti capaci di implementare in autonomia le azioni suggerite dagli algoritmi prescrittivi sulla base delle analisi svolte. Il termine è stato coniato nel 2015 da Tom Davenport, esperto di knowledge management e autore di numerosi libri su Big Data e Analytics, ma è ampiamente usato già da diversi anni. L’aggiornamento automatico e continuo, anche più volte nel corso della stessa giornata, dei prezzi dei biglietti praticato dalle compagnie aeree sulla base di molteplici parametri (ora, giorno, stagione, domanda/offerta, luogo di acquisto, etc.) è un esempio di automated analytics.

Secondo una ricerca del 2016 dell’Osservatorio Big Data Analytics e Business Intelligence del Politecnico di Milano gli ambiti che presentano una crescita rilevante degli analytics sono la manutenzione predittiva (che però vede ancora una diffusione limitata in azienda) e il customer care , entrambi oltre al 20% (fig. 2).

Fig. 2: Mappa degli ambiti di utilizzo degli Analytics da parte delle grandi aziende.

 

L’identificazione del rischio (risk management) e l’ottimizzazione del prezzo dei prodotti, in particolare nei settori finanziario e assicurativo, rappresentano altri due ambiti nei quali i modelli predittivi si affiancano o sostituiscono la valutazioni fin qui realizzate dagli analisti interni all’azienda. Fintech e Insurtech catalizzano sempre maggiori investimenti e rappresentano un terreno di crescita fertile per centinaia di startup che operano nella definizione e implementazione di algoritmi e modelli di forecasting sempre più precisi.

Possiamo distinguere tre macro aree nelle quali i dati impattano il business: supporto decisionale, gestione operativa e monetizzazione. Nel primo caso, la raccolta e l’analisi di una quantità sempre maggiore di dati porta a una conoscenza più approfondita dei processi e dei clienti e suggerisce decisioni in grado di migliorare ogni aspetto del business, dal design di prodotti e servizi, al marketing, alla vendita, al customer care.

Nel secondo caso, i Big Data aiutano le aziende ad incrementare l’efficienza operativa e la produttività ad esempio nel tracking delle modalità d’uso e dello stato di salute dei macchinari, nell’ottimizzazione della logistica e della distribuzione, nella valutazione delle performance del personale.

Infine, i dati che vengono raccolti offrono nuove opportunità di monetizzazione legate al loro sfruttamento commerciale. Ogni prodotto o servizio che utilizziamo può essere configurato per raccogliere non solo informazioni sulla modalità di utilizzo del prodotto, ma anche dati ambientali, dati di contesto (ora e luogo) e, grazie alla sempre maggiore diffusione di dispositivi wearable, il feedback del nostro corpo (battito cardiaco, pressione, sudore, etc.). Tutte queste informazioni non solo possono essere elaborate dal fornitore per migliorare i propri prodotti, ma anche vendute in forma anonima o aggregata a terze parti per indagini statistiche di ogni tipo.

Appare evidente come l’impatto della Big Data analysis su ogni processo aziendale renda obsoleto un modello di governance dei dati, limitato al solo reparto IT o alla figura del data scientist. Tutti i settori vanno coinvolti nel processo di data management, come “produttori” e “utilizzatori” di dati, e tutti i responsabili delle diverse aree (produzione, vendite, comunicazione, marketing, etc.) devono contribuire alla definizione della data strategy.

Parliamo di un cambiamento importante che impatta sull’organizzazione e che richiede investimenti e l’acquisizione di nuove competenze, nuove modalità di collaborazione con soggetti esterni (open innovation) e nuove figure professionali come il CDO (Chief Data Officer) in grado di coordinare il processo di trasformazione, fissare gli obiettivi, condividere con l’IT le scelte tecnologiche, stabilire la roadmap di implementazione e definire le linee guida per la gestione dei dati.

Una volta acquisita consapevolezza sul ruolo e l’importanza che i Big Data e i modelli analitici ricoprono per il proprio business, è necessario agire con determinatezza e velocità. In ogni settore, le aziende che per prime sapranno cogliere le enormi opportunità derivanti dallo sfruttamento dei dati, godranno di un importante vantaggio competitivo.

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Bibliografia e sitografia

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