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Chiedimi se sono felice… Al lavoro

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Ti è mai capitato di chiederti cosa sia per te la felicità? Cosa ti rende felice? Quando sei felice al lavoro? Se ti dicessero che da domani avrai la possibilità di godere di ferie illimitate, come ti sentiresti?

Ferie illimitate: la nuova frontiera

Ebbene si, le ferie illimitate sono la nuova frontiera del lavoro. Precisiamo: ferie illimitate e retribuite.
Come spesso accade, la nuova moda parte dagli Usa e arriva in Europa con l’azienda belga Jonckers, con sede anche in Italia, e che ha concesso le ferie illimitate ai suoi dipendenti.
L’obiettivo principale di questa iniziativa è concedere un numero illimitato di vacanze retribuite e che il dipendente può prendersi quando vuole per riposare, godersi la propria famiglia e dunque tornare al lavoro più stimolato e attivo.
Chi lavora con un tipo di contratto che prevede ferie illimitate può concedersi quindi il riposo oltre alle 20 giornate (di media) previste e gli straordinari.
L’assioma da cui si parte è che un dipendente che può disporre con maggior autonomia del proprio tempo libero è un dipendente più felice e dunque sarà più produttivo. Va da sé che i giorni di ferie non devono compromettere le performance e gli obiettivi lavorativi che devono comunque essere assicurati e garantiti.
Qualche dato: negli Stati Uniti negli ultimi quattro anni sono triplicati i contratti che prevedono ferie illimitate, passando dallo 0,04% sul totale delle offerte di lavoro nel 2015, allo 0,13 % del 2019.
Esistono infatti al mondo dei lavori che sono più stressanti di altri: in particolare sono i lavori tecnologici nei quali si riscontra un maggior ricorso alle ferie illimitate per il maggiore stress che creerebbero.
Sono molte le aziende che negli ultimi anni hanno deciso di concedere le ferie illimitate ai propri lavoratori. Tra queste si annoverano le società tecnologiche Usa, le startup della Silicon Valley quali Netflix, Dropbox, Groupon, Virgin, ma anche General Electric.
Sarà questa la panacea di tutti i mali? Basterà concedere le ferie illimitate per avere lavoratori più felici e dunque più produttivi? I dati parlano chiaro.
Il 22% di persone intervistate dichiara che in un mese sperimenta solo 1 o massimo 3 buone giornate al lavoro.
Sono dati in linea con le indagini Gallup sulla soddisfazione al lavoro, che da qualche anno evidenziano come in tutto il mondo e anche in Italia, la percentuale di chi si dichiara davvero “coinvolto” nel proprio lavoro è pari solo al 13%.

Cosa ci rende felici veramente al lavoro: i pareri degli esperti

Che cosa dunque può migliorare la situazione dei lavoratori affinché si sentano più ingaggiati in quello che fanno e per chi lo fanno? (Molto interessante sul tema è anche questo articolo: Cosa rende le persone felici al lavoro?)
Secondo Sonja Lyubomirsky, psicologa e autrice del libro “The How of Happiness”, la chiave della soddisfazione è da ricercare nel perseguimento di specifici obiettivi collegati al proprio lavoro, piuttosto che obiettivi generici come “guadagnare di più”.
Avere obiettivi da raggiungere “ci aiuta a percepire sentimenti di scopo, efficacia e controllo del nostro tempo. Sono queste le cose che rendono davvero felici le persone al lavoro“.
Inoltre, secondo Michelle Gielan, fondatrice dell’Istituto di Ricerca Positiva Applicata e autrice di “Broadcasting Happiness, “avere degli amici sul posto di lavoro è il più potente predittore della soddisfazione di lungo termine. E non stiamo parlando di dozzine di amici o colleghi molto stretti; per sperimentare questi benefici basta una manciata di relazioni significative.
Dunque, rafforzare un clima di lavoro amichevole e sereno è fondamentale per migliorare umore e stato d’animo.
“E ogni lavoro può essere significativo se il tuo cervello dice che lo è“, afferma Shawn Achor, psicologo e autore di “The Happiness Advantage”. “Possiamo infondere senso a qualsiasi attività lavorativa se ci focalizziamo sulla costruzione di relazioni, sullo sviluppo delle capacità o sul supporto che ne riceviamo per le nostre famiglie“.


Leggi anche Investire nelle well-performance: la strada giusta per la felicità di lavoratori ed aziende


Le organizzazioni positive

Le organizzazioni positive oggi sono un dato di fatto. Esiste una letteratura solida supportata da numeri, evidenze e studi sul campo che dimostrano che questo tipo di organizzazioni ottiene risultati superiori alle aspettative.
Per realizzare questi risultati le aziende “positive” utilizzano il costrutto della Scienza della Felicità, ovvero l’insieme di informazioni, ricerche e pratiche messe a disposizione da diverse discipline scientifiche, le quali hanno dimostrato che la felicità non è solo un’emozione, ma una competenza, e come tale, può essere coltivata.
L’Organizzazione Positiva è un luogo in cui le persone fioriscono in relazione con altre e ottengono risultati individuali e collettivi che hanno senso per sé stessi e per la comunità, e superano le aspettative.
Il termine “positività” si lega ad una lunga serie di studi, ricerche ed informazioni che dimostrano che questo tipo di approccio, basato su precise leggi fisiologiche, produce risultati migliori e più funzionali nella gestione della complessità.
Gli specialisti della scienza della felicità seguono un approccio integrato, basato su 4 dimensioni con l’obiettivo di far dialogare i processi organizzativi con i comportamenti e la cultura, così da generare coerenza e fare del benessere una solida strategia organizzativa.

Le quattro dimensioni della Scienza della Felicità

  • Il Chief Happiness Officer presidia l’area della cosiddetta Corporate Happiness, fa cioè della felicità una strategia organizzativa coerente.

Ad esempio si chiede: “se il burn out è un problema che sta prendendo sempre più rilevanza e potrebbe riguardare sempre più persone che vivono nella mia organizzazione, cosa posso fare per ridurre il rischio e quindi evitare impatti negativi su produttività, engagement, innovazione?

  • Il Chief Happiness Officer coltiva e diffonde la Positive leadership a tutti i livelli dell’organizzazione, perché sa che non esistono organizzazioni positive senza leader positivi.

Ad esempio si chiede: “come comunicano e danno feedback i leader della mia organizzazione? Che tipo di comportamenti promuovono? Sono coerenti con ciò che dichiarano?

  • Il Chief Happiness Officer presidia la Positive Organization, sceglie, disegna e gestisce processi e pratiche congruenti con la strategia identificata e capaci di generare benessere e percezione di coerenza.

Ad esempio si chiede: “facciamo riunioni tutti i giorni, anche quando non ce ne è bisogno? Stiamo selezionando i candidati secondo i valori dell’organizzazione?

  • Il Chief Happiness Officer promuove la Cultural Transformation orientando l’organizzazione verso un proposito forte, ancorato a finalità collettive, capace di generare un impatto sociale, ecologico e di promozione del bene comune.

Ad esempio si chiede: “ci fidiamo delle persone? Il benessere e la felicità fanno parte dei nostri valori? Qual è il contributo e l’impatto che stiamo portando alla comunità e nel territorio in cui operiamo? Come il nostro proposito ci guida per contribuire ad un cambiamento positivo della nostra società?
La felicità dunque non va perseguita solo ed esclusivamente nei benefit materiali: è necessario da parte delle organizzazioni un profondo e impegnativo percorso di change management che porti ad una nuova mentalità positiva ed aperta all’ascolto, alla collaborazione e al cambiamento.


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