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Dallo spazio materiale a quello immateriale: le prospettive per il coworking pubblico

coworking pubblico

La condivisione delle conoscenze, l’apprendimento innovativo legato soprattutto allo smart working e le sinergie di business, sono tutti valori aggiunti della condivisione degli spazi fisici. Come è stato osservato in un recente studio, il coworking può svolgere anche funzioni sociali, in linea con alcune delle più rilevanti finalità pubbliche, soprattutto locali: sviluppo del territorio, formazione e promozione del lavoro, dell’accoglienza, dell’assistenza sociale o della rigenerazione urbana. Nonostante le indubbie opportunità, le esperienze di coworking pubblici sono limitate. Con coworking pubblico si intende non necessariamente un’attività ad iniziativa della pubblica amministrazione, quanto, piuttosto, un progetto ad iniziativa anche privata, nel quale il partenariato si concretizzi nella messa a disposizione di uno spazio/immobile pubblico, a fronte o meno del pagamento di un canone.
Ancora oggi è difficile per l’amministrazione stessa, oltre che per la mancanza di volontà politica, disporre con facilità di spazi pubblici a causa di ostacoli di natura giuridica (ad esempio, il vincolo di destinazione di un immobile). Nonostante tutto, si presentano oggi soluzioni originali grazie, soprattutto, alla scoperta del nuovo mondo della rigenerazione.

C’era una volta il regolamento comunale di Bologna sulla rigenerazione dei beni comuni urbani

All’inizio del 2014 il Comune di Bologna adotta il Regolamento sulla collaborazione fra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani.
L’art. 2 definisce i beni comuni urbani come:

Beni materiali, immateriali e digitali che i cittadini e l’amministrazione, anche attraverso procedure partecipative e deliberative, riconoscono essere funzionali al benessere individuale e collettivo,

senza precisare ulteriormente la nozione che rimane, dunque, alla discrezionalità degli attori dei progetti di rigenerazione. Balza subito agli occhi l’assonanza con fenomeni che conosciamo bene: il riferimento alla componente digitale e a quella immateriale.
Ancora più interessante il modo in cui la Charter of public space (2013) si riferisce agli spazi fisici urbani:

The community recognizes itself in its public places and pursues the improvement of their spatial quality. […] Public spaces can be distinguished in: a) spaces that have an exclusive or prevalent functional character; b) spaces that presuppose or favour individual uses; c) spaces that, by mix of functions, form, meanings and by connecting the built with the non-built, have the prevalent role of aggregation and social condensation. In the web of these latter functions is the essence of the city.

 

Comune di Reggio nell’Emilia


 
In realtà, dalla lettura del regolamento è possibile estrapolare alcune esemplificazioni: gli “spazi pubblici” come «aree verdi, piazze, strade, marciapiedi e altri spazi pubblici o aperti al pubblico, di proprietà pubblica o assoggettati ad uso pubblico» (art. 2, co. 1, lett. i)); gli “immobili di proprietà pubblica” (art. 8, co.3); gli edifici in stato di parziale o totale disuso (art. 16). Si tratta, nella maggior parte dei casi, di riferimenti a beni materiali che, come per gli spazi fisici del coworking, propedeutici cioè al triangolo dello sharing (condivisione e conoscenze, si veda il seguente articolo), possono essere considerati strumentali ai beni immateriali e a quelli digitali.
Il principale strumento attuativo è il “patto di collaborazione“, con cui il Comune e i cittadini attivi concordano tutto ciò che è necessario, ai fini della realizzazione degli interventi di cura e rigenerazione dei beni comuni (art. 5). Il contenuto del patto varia, secondo il Regolamento madre, in relazione al grado di complessità degli interventi concordati e della durata della collaborazione.
Le attività svolte nell’ambito dei patti di collaborazione, essendo considerate di particolare interesse pubblico, beneficiano delle agevolazioni previste dal regolamento comunale per l’occupazione di suolo pubblico e per l’applicazione del relativo canone (art. 20 e altre indicazioni agli artt. 24-26).
Si ricorda anche la previsione in favore della promozione all’innovazione sociale da parte del Comune, attivando connessioni tra le diverse risorse presenti nella società (cooperative, imprese sociali, startup a vocazione sociale e lo sviluppo di attività e progetti a carattere economico, culturale e sociale), per creare servizi che soddisfino bisogni sociali e che nel contempo attivino legami sociali e forme inedite di collaborazione civica, anche attraverso piattaforme e ambienti digitali, con particolare riferimento alla rete civica.
In tale contesto, gli spazi e gli edifici rappresentano una risorsa funzionale al raggiungimento delle finalità sopra elencate e il Comune può riservarne una quota (art. 7). Ad essere promossa, inoltre, è sia la creatività urbana, per qualche spunto si veda qui, (art.8) sia l’innovazione digitale (art. 9).

Emiliano Grusovin


 

Differenza tra rigenerazione di spazi e quella di immobili: le difficoltà

In particolare, rileva la distinzione tra spazi ed edifici. Sono questi ultimi ad essere potenzialmente più utili per ospitare progetti di coworking e sono oggetto di specifiche disposizioni nel Regolamento di Bologna, perché formalmente non rientranti nella definizione di “spazi pubblici“.
Si prevede, infatti, che la collaborazione con i cittadini attivi possa avere «differenti livelli di intensità dell’intervento condiviso sugli spazi pubblici e sugli edifici, ed in particolare: la cura occasionale, la cura costante e continuativa, la gestione condivisa e la rigenerazione» (art. 6).
I cittadini attivi possono così realizzare interventi, a carattere occasionale o continuativo, di cura o di gestione condivisa degli spazi pubblici e degli edifici, periodicamente individuati dall’amministrazione o proposti dai cittadini attivi. In particolare, l’intervento è finalizzato sia ad integrare o migliorare gli standard manutentivi garantiti dal Comune o migliorare la vivibilità e la qualità degli spazi; sia ad assicurare la fruibilità collettiva di spazi pubblici o edifici non inseriti nei programmi comunali di manutenzione.
Il Capo IV è poi dedicato agli interventi di cura e rigenerazione di edifici. Emergono subito le maggiori difficoltà all’impiego degli immobili per finalità di rigenerazione rispetto agli spazi pubblici, soprattutto se è necessario modificarne il vincolo di destinazione.
Il Regolamento di Bologna prevede un procedimento più macchinoso che lascia aperte, però, molte possibilità (art. 16 e 17).
Per la rigenerazione degli edifici, rispetto agli spazi urbani, emerge così un trattamento differenziato: una gestione anche a durata pluriennale (fino a nove anni, art. 17, co.3), la non destinazione ad usi plurimi (come per gli spazi pubblici agli artt. 13 e 14) o ad usi diversi da quelli assegnati inizialmente dall’amministrazione proprietaria, se non procedendo con le regole proprie del diritto urbanistico, con conseguente aggravio di tempi e costi.
Nonostante le difficoltà, tale iniziativa regolamentare ha il pregio di provare a rendere fruibili ai cittadini spazi in disuso, anche e soprattutto ad un canone agevolato, come visto.

E fu così che nacque un regno: i regolamenti sulla rigenerazione urbana nei comuni italiani e le altre opportunità per i coworking pubblici

L’iniziativa di Bologna ha ispirato negli ultimi anni moltissimi altri comuni, i quali hanno deciso di adottare propri regolamenti sulla falsariga del Regolamento madre, con più o meno elementi di originalità. Nel Giugno 2016 erano 86 i comuni in possesso del nuovo regolamento e ben 78 erano in procinto di adottarlo; ad oggi sono 122 i comuni che hanno completato l’iter, mentre 69 sono ancora in itinere.
Al momento non si ha traccia di patti di collaborazione per la destinazione di edifici alla mission di coworking, prevalendo i patti per gli spazi pubblici, soprattutto in materia di ambiente e verde urbano. È possibile seguirne lo stato di avanzamento o approfondire l’argomento con l’analisi contenuta nel recente volume La rigenerazione di beni e spazi urbani. Contributi al diritto delle città (a cura di F. Di Lascio e F. Giglioni, Il Mulino, 2017), il quale ha in parte ispirato il presente contributo.
Le potenzialità per progetti di coworking pubblico a carattere sociale sono, come visto, molte. Non sono però le uniche opportunità in circolazione per la messa a disposizione di spazi pubblici in disuso.
Ad esempio, è stata recentemente pubblicizzato il progetto dell’Agenzia del Demanio, con Mibact e Mitche, parte del Piano Strategico del Turismo e del Piano Straordinario della Mobilità turistica, per il riuso nell’ottica della riqualificazione culturale con oltre 100 immobili pubblici (43 gestiti dall’Agenzia del Demanio, 50 degli Enti territoriali e 10 di Anas), dislocati lungo gli itinerari storico-religiosi e i percorsi ciclopedonali da Nord a Sud.
Il progetto prevede il coinvolgimento di operatori privati o imprese, cooperative e associazioni composte in prevalenza da giovani under 40 e Mediante bandi di gara pubblicati dal Demanio gli immobili saranno infatti dati in concessione gratuita (9 + 9 anni) o in concessione di valorizzazione (fino a 50 anni) per essere trasformati (si veda il seguente link e link).
Inoltre, sono sperimentabili i c.d. “partenariati sociali“. Il riferimento è agli interventi in materia di sussidiarietà orizzontale (oggi art. 189, d.lgs. n. 50/2016) e al baratto amministrativo (oggi art. 190, d.lgs. n. 50/2016).

Conclusioni. Quando la pubblica amministrazione riconosce le necessità del territorio e quando no

Il tema affrontato è di grande attualità, come dimostrano due recenti fatti di cronaca, ambedue riguardanti l’utilizzo di beni materiali (immobili) pubblici per obiettivi di rigenerazione o di attività sociali, ma con epiloghi molto diversi.
 

Cantiere Centro Sociale


 
La sezione Lazio della Corte dei Conti ha ritenuto non fondata, ad Aprile 2017, la richiesta di risarcimento del Procuratore Generale a danno di alcuni dirigenti del comune di Roma per la gestione del patrimonio destinato a uso sociale e culturale (si veda il commento al seguente link).
Le accuse mosse dal Procuratore regionale muovevano dalla circostanza che un’associazione cittadina godesse (dal 1997) dell’uso di un bene pubblico comunale in assenza di un titolo concessorio a condizioni molto agevolate, ovvero un canone di locazione abbattuto dell’80% rispetto al prezzo di mercato. Ad avviso del giudice, però, la condizione del bene coinvolto (destinato ad usi culturali e sociali di interesse generale), non rendeva praticabile la pretesa di una destinazione differente del bene rivolta al libero mercato.
Inoltre l’ordinanza provvisoria all’epoca emessa, si rifaceva ai precedenti regolamenti comunali che favorivano gli usi a fini sociali del patrimonio comunale. Al di là della specifica fattispecie, rileva il rapporto tra le finalità (culturali e sociali) di interesse generale e quelle di libero mercato, a favore dell’esperienza cittadina.
Diverso l’epilogo per Làbas, realtà nata all’interno dell’ex caserma Masini nel cuore del quartiere e della città di Bologna, occupata da cinque anni e rigenerata. Tra le tante iniziative e i progetti “Làbiopizza”, la pizzeria nata all’interno del centro occupato come progetto di formazione e professionalizzazione per gli occupanti, basata sul coworking. Lo sgombero del 7 Agosto 2017 non ha riguardato solo il Làbas, ma è stato quasi contemporaneo a quello del Crash, un altro edificio occupato nella parte opposta della città (si veda il commento al seguente link).
Si chiude così il cerchio tratteggiato sin dall’introduzione: a volte la mancanza di volontà politica, a volte l’incapacità di gestire adeguatamente interessi privati, pubblici e collettivi portano a soluzioni non condivise. Tutto ciò di fronte ad ostacoli giuridici che forniscono l’espediente per soluzione, presentate come uniche e necessarie (un’ordinanza di sgombero, ad esempio) a discapito del decoro e della rigenerazione delle città quando invece:

Sia attraverso la politica sia attraverso l’amministrazione, sarebbe possibile trovare soluzioni alternative per trasformare spazi fisici in spazi digitali, immateriali, culturali, sociali, civici e, perché no, di coworking, all’insegna della legalità.

Dallo spazio materiale a quello immateriale: le prospettive per il coworking pubblico

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