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Spunti critici sulla normativa in materia di smart working

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Spunti critici sulla normativa in materia di smart working

Con l’approvazione da parte del Senato del DDL sul lavoro agile (anche conosciuto come smart working), il nostro legislatore ha finalmente cercato di introdurre una normativa in materia di lavoro “al passo con i tempi”.
Ma siamo sicuri che sia davvero sufficiente?
La nostra redazione ha già avuto modo di esaminare il contenuto del disegno di legge e gli aspetti principali della nuova disciplinaIn questo articolo, invece, voglio soffermarmi su alcune riflessioni critiche.
Lo smart working è definito dall’art. 15 del disegno di legge, richiamato come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro.
Dal mio punto di vista, è necessario evidenziare due elementi fondamentali:

  • si tratta pur sempre di un rapporto di lavoro subordinato;
  • sono assenti vincoli di luogo o di orario di lavoro.

La dichiarata finalità è quella di “incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”, ma logicamente tenendo ben presente il principio fondamentale alla base dell’intera normativa giuslavoristica: tutelare il lavoratore quale parte debole del rapporto.
In questo senso si colloca il persistente riferimento al lavoro subordinato (vedi art. 2094 c.c.) presupposto per l’applicazione delle numerose tutele previste dal codice civile e da leggi speciali (in primis, lo Statuto dei lavoratori).
Il disegno di legge, quindi, si inserisce in una tendenza generale all’alleggerimento della normativa sul lavoro subordinato, visto il sostanziale fallimento delle politiche di “flessibilità” adottate a partire dal 2003 (che hanno visto la proliferazione di contratti di lavoro speciali, spesso utilizzati per mascherare rapporti in realtà totalmente subordinati).
Non a caso, infatti, l’art. 17 del Disegno di legge, in tema di trattamento economico, prevede il diritto del “lavoratore agile” a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda.
Cosa significa? Molto semplice, lo smart working non potrà essere considerato come uno strumento per consentire alle imprese di corrispondere retribuzioni inferiori, bensì semplicemente come una modalità alternativa di esecuzione di una normale prestazione di lavoro subordinato.
I vantaggi, quindi, non si riferiscono, tanto agli aspetti economici, quanto alla possibilità di rendere flessibile la struttura aziendale e la gestione delle risorse umane.
Come ha correttamente evidenziato l’Avv. Matteo Moscioni, un mio collega esperto in materia di diritto di lavoro, nella sua analisi della disciplina del lavoro agile, “per le aziende lo smart working si traduce, in primo luogo, in uno strumento diretto per tagliare i costi fissi, come quelli legati alle sedi e alla loro gestione. In secondo luogo si incentiva e responsabilizza il lavoratore al raggiungimento autonomo degli obbiettivi prefissati”.


Ma cos’è veramente lo smart working? In questo articolo troverai la definizione 😉


Dal punto di vista pratico, per le imprese che volessero assumere gli “smart worker”, segnalo la necessità di redigere per iscritto il contratto di lavoro individuale che dovrà contenere:

  • la disciplina specifica dell’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali;
  • le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro (ossia le modalità con le quali il datore di lavoro impartirà istruzioni e direttive al lavoratore);
  • le regole concernenti gli strumenti utilizzati dal lavoratore (della cui sicurezza e buon funzionamento il datore di lavoro sarebbe pur sempre responsabile);
  • i tempi di riposo del lavoratore;
  • le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.

La normativa, per come redatta, costituisce certamente un notevole passo in avanti per la struttura (tutt’altro che innovativa) del diritto del lavoro italiano. A mio avviso, tuttavia, c’è la sensazione che non sia stata pienamente compresa dal legislatore la portata del “lavoro agile”.
Il Disegno di legge qui esaminato, come detto, ha cercato di ricondurre lo Smart Working al tipo contrattuale del lavoro subordinato (art. 2094 c.c.). Ma ritengo che il fenomeno del lavoro agile sia ben più esteso dei confini della subordinazione. Mi risulta, infatti, di problematica applicazione la normativa qui esaminata a quei lavoratori, a tutti gli effetti freelance, che offrano i propri servizi ad aziende (anche di piccole dimensioni), collaborando su progetti sporadici.
È vero che la normativa prevede espressamente la possibilità della stipulazione di un contratto a termine, ma riterrei ragionevole, a completamento della disciplina normativa, anche un intervento di riordino sulle prestazioni occasionali, al fine di ricoprire anche quelle ipotesi borderline non riconducibili pienamente allo schema del lavoro subordinato.

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