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Una boccata d’aria fresca per migliorare le performance aziendali

Nel momento storico del ripensamento dei luoghi di lavoro in logica smart working, abbiamo già posto l’attenzione in precedenti articoli sull’importanza fondamentale di garantire il benessere psico-fisico al lavoratore, in termini di comfort igrotermico, acustico e visivo.


Trovi qui i recenti articoli in materia di benessere psico-fisico del lavoratore:
Benessere acustico e produttività aziendale
La luce buona per lavorare


Un altro aspetto collegato al benessere ambientale dei luoghi di lavoro, troppo spesso trascurato ma di importanza fondamentale, è quello della qualità dell’aria interna.
Siamo ormai tutti sufficientemente sensibilizzati sul discorso dell’inquinamento ambientale e della qualità dell’aria delle città in cui viviamo, ma probabilmente non molti sanno che gli ambienti interni sono sempre più inquinati dell’esterno. Inquinanti chimici, fisici e biologici si riscontrano nell’aria degli ambienti confinati in concentrazioni di gran lunga superiori a quelle dell’aria esterna.
Già nel 1970 alcuni medici statunitensi notarono l’insorgere di alveoliti allergiche tra gli impiegati di uffici con aria condizionata: a tali sintomi si attribuì il nome di “Sindrome da Edificio Malato”. Impianti di ventilazione con condotti degradati e serrande non funzionanti correttamente, anziché ricambiare l’aria, riciclano aria viziata e portatrice di batteri, gas nocivi e altro materiale inquinante, favorendo addirittura la crescita di microbi, funghi e germi.
Alla fine degli anni ’90 si cominciò a diagnosticare un’altra patologia, o meglio un quadro patologico particolare: la “Sindrome da Sensibilità Chimica Multipla”, legata a concentrazioni in ambienti confinati di inquinanti biologici, chimici e fisici (polveri, formaldeide, radon, amianto, ecc.) non tollerate dall’organismo umano.
I sistemi di climatizzazione e ventilazione inadeguati, la presenza di arredi, apparecchiature (stampanti e fotocopiatrici) e materiali da costruzione (pannelli per l’isolamento termico, vernici, ecc) che rilasciano nell’aria composti organici volatili (COV), l’utilizzo di sostanze classificate come “estremamente preoccupanti” (SVHC) nelle normali operazioni di pulizia e manutenzione, ci sottopongono quotidianamente ad una eccessiva esposizione indoor, ormai correlata in maniera documentata all’insorgere di allergie e infezioni respiratorie e addirittura a patologie ben più gravi (cancro ai polmoni).
Se pensiamo poi che la corsa all’efficienza energetica degli ultimi anni ha prodotto come controindicazione edifici più stagni per non disperdere calore, con minor ricambio d’aria esterna e quindi più inquinati internamente, possiamo capire come la situazione di un lavoratore che passa circa un terzo della propria giornata in ambiente confinato (oltre ad un altro terzo in ambiente casalingo, non esente dalle stesse problematiche di inquinamento indoor) sia abbastanza preoccupante.
Fortunatamente a livello europeo sono stati emanati il Regolamento REACH (concernente la registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche) e CLP (classificazione ed etichettatura delle sostanze chimiche) e altre norme allo scopo di tutelare la salute umana e l’ambiente, valutare i rischi derivanti dalle sostanze chimiche prima dell’immissione in commercio autorizzando, limitando o vietandone l’uso. Possiamo quindi ben sperare che il monitoraggio costante, coordinato dall’ECHA – Agenzia Europea per le sostanze chimiche, porti con il tempo alla diminuzione di sostanze pericolose presenti negli oggetti di uso comune, riducendo il rischio chimico e la nostra esposizione.
Volendo leggere la situazione da una diversa angolazione (meno allarmante!) una recente ricerca pubblicata su Environmental Health Perspective ha dimostrato che lavorare in un ambiente con una buona qualità dell’aria aumenta le performance cognitive.
Per i ricercatori dell’Università di Harvard che hanno condotto lo studio, le persone che lavorano in ambienti ben arieggiati, con bassi livelli di CO2 e di inquinamento indoor, ottengono punteggi migliori nelle funzioni cognitive rispetto a quanti lavorano in uffici con livelli di inquinamento e CO2 considerati standard.
Nell’esperimento i ricercatori hanno esposto 24 lavoratori a livelli differenti di CO2, ventilazione e concentrazioni di composti organici volatili, comunemente emessi negli uffici, e hanno osservato che i partecipanti esposti agli ambienti con la migliore qualità dell’aria ottenevano mediamente nelle performance cognitive punteggi doppi rispetto a quelli che lavoravano in ambienti tradizionali.
I risultati suggeriscono che anche modesti miglioramenti della qualità dell’ambiente indoor, dovuti soprattutto a una corretta ventilazione naturale, potrebbero avere un impatto profondo sulle performance dei lavoratori.
In conclusione si pone l’accento sulla necessità di progettare con estrema attenzione gli edifici che ospitano uffici (soprattutto quelli che si definiscono “green”, “smart”, ecc), dall’involucro edilizio, agli impianti, fino all’arredo e alla scelta dei prodotti consumabili e per la manutenzione. La corretta scelta dei materiali e una buona ventilazione possono metterci al riparo dall’inquinamento indoor e aumentare le performance aziendali.
 
Smartworking, lavoro agile

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