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Economia collaborativa: i driver

economia collaborativa

Durante l’anno vi sarà sicuramente capitato di soggiornare in un appartamento Airbnb, di aver viaggiato con BlaBlaCar, di aver finanziato un progetto su Kickstarter o magari semplicemente di aver venduto o comprato qualcosa su piattaforme come Subito e se così non fosse stato, fidatevi di me, succederà molto presto.
Cosa hanno in comune tutte queste piattaforme? Risolvono il problema della doppia coincidenza dei bisogni, mettendo in contatto due persone i cui bisogni di uno trovano risposta in quelli dell’altro.
Prima di approfondire il concetto di economia collaborativa e prima di poter analizzare le sue diverse ramificazioni, è importante soffermarsi su quelli che sono stati i driver di questa nuova realtà economica.

I driver dell’economia collaborativa

Tecnologia ed innovazione

Le nuove tecnologie (smartphone, gadget) e i social media hanno costituito la vera svolta dal semplice baratto all’economia collaborativa. La collaborazione è un comportamento naturale dell’uomo, basti pensare alle tribù e alla collaborazione fra gli individui appartenenti a questa per il raggiungimento del bene comune.  L’avvento della tecnologia ha trasformato questo comportamento collaborativo di nicchia in un fenomeno globale. Le interazioni che prima erano limitate soli ai membri della tribù (baratto o prestito) adesso avvengono a livello globale.  I social media e la real-time technology stanno reinventando il baratto, rendendolo più allettante e dinamico e costruendo fiducia fra sconosciuti. Un esempio di come la tecnologia ha rivoluzionato l’economia è il colosso americano di Ebay. Fondato nel 1995, la sua piattaforma ha rivoluzionato il “mercato” eliminando la necessità di intermediari e mettendo in contatto diretto i suoi utenti con quello di cui o con chi hanno bisogno.

Cambiamento di valori 

La presenza crescente della tecnologia, dei social media e in maniera più generale della “rete” nella vita di tutti i giorni sta causando un graduale cambiamento di valori. Dal Rapporto Eurispes 2015 emerge non solo che l’apparecchiatura tecnologica più diffusa nelle famiglie italiane è lo smartphone (67%), ma anche che il 95,7% del campione intervistato è attivo su Facebook. Ci stiamo muovendo verso sistemi, relazioni e business model più aperti e connessi, più “umani”. Stiamo assistendo ad uno shift di potere e fiducia dalle istituzione centralizzate verso network decentralizzati di persone. Le grandi aziende ed i governi sono fra le istituzioni di cui ci si fida di meno al giorno d’oggi. Le attività che una volta erano un’esclusiva delle aziende come ad esempio la produzione, adesso possono essere svolte da singoli individui grazie alla tecnologia, basti pensare all’infinita possibilità di oggetti realizzabili con stampanti 3d, alle pubblicazioni indipendenti e alle nuove forme di manifattura incentivate dal maker movement

Accesso piuttosto che proprietà e capacità inutilizzata 

La linea che separa i benefici dell’avere accesso ad un prodotto o dell’essere proprietario di questo sta diventando sempre più sottile.  Come il marketing ci insegna, il cliente non compra prodotti in quanto tali ma per i benefici che può trarne. Le preferenze dei consumatori sono sempre più indirizzate a servizi “on demand”, questo spiega l’esplosione di piattaforme come Netflix per il noleggio di dvd e streaming di serie televisive on demand (perfetto per del sano binge-watching) o come il conosciutissimo Spotify per lo streaming on demand di musica. Questi business model non solo riducono il pagamento in un’unica soluzione ma anche il costo di manutenzione e della sua capacità inutilizzata. Se butto un occhio alla mia libreria non mi viene difficile elencare i numerosi DVD di serie televisive o film storici che, pur essendo intatti, non verranno mai più utilizzati e, se mi fermo un attimo a pensare, potrei elencare molti altri DVD che mi piacerebbe comprare per allietare le mie serate invernali. Mettendo di nuovo in circolo i miei DVD inutilizzati non solo potrei prolungare la loro vita utile e quindi ridurre la loro capacità inutilizzata, ma anche risparmiare sui miei prossimi acquisti (magari scambiando i miei DVD con quel film che mi piaceva tanto), evitare che il mio fidanzato venga a sapere che posseggo ancora la serie completa di Dawson Creek e fare anche del bene all’ambiente.

Pressioni ambientali

Oggi come non mai non possiamo ignorare i danni causati dall’ iper-consumismo incentivato dal capitalismo.  Problemi come ad esempio le scarse risorse naturali, il cambiamento climatico e l’inquinamento non possono più essere ignorati. E’ stato stimato che in media un auto passa il 92% del tempo ferma in un parcheggio. Se a questa amara verità aggiungiamo l’elevato costo di manutenzione mensile di una macchina, ci rendiamo conto dell’enorme spreco di soldi, di risorse naturali e dell’enorme capacità inutilizzata del nostro veicolo.
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©blablacar.it

L’economia collaborativa, grazie all’impiego efficiente della capacità inutilizzata, aiuta a prolungare la vita utile di un prodotto promuovendone l’utilizzo al suo massimo potenziale. Viene quindi naturale pensare che i nuovi modelli collaborativi possano offrire gli stessi benefici ai loro utenti, che si tratti di prodotti o servizi, riducendo la produzione di beni nel primo caso e dunque riducendo in generale l’utilizzo di risorse e la produzione di rifiuti. Come riportato dai dati dell’ADEME (Agenzia Francese per l’ambiente ed il controllo energetico), i prodotti “condivisibili” rappresentano un terzo dello spreco per famiglia (inteso come utilizzo inefficiente). In condizioni ideali, assumendo che i prodotti “condivisibili” possano avere un incremento della loro vita utile pari al 33%, l’economia collaborativa può portare ad un risparmio domestico del 7% e una riduzione degli sprechi del 20%. Attualmente gli utenti dei maggiori servizi di economia collaborativa sono spinti principalmente dall’aumento del loro potere d’acquisto, pur non dimenticando i benefici apportati all’ambiente.

Realtà Economiche

La crisi del 2008 e l’attuale situazione di difficoltà economica hanno sicuramente incentivato la diffusione dell’economia collaborativa sebbene non costituendone la causa.


Author: Paola Gabriele


 
 
 

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