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Evasione fiscale: e se si ritorcesse contro l'imprenditore?

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Una delle mie più grandi battaglie personali è quella contro l’evasione fiscale, di cui in Italia (ahimè) siamo forse tra i primi al mondo (dietro solamente ai greci).
Provate a pensare quante volte, nella vostra vita quotidiana, vi trovate a fare acquisti presso un bar o una pizzeria e non vi viene data alcuna ricevuta fiscale. Il discorso non cambia quando andate dal commercialista, dall’avvocato o dal dentista: molti di questi (ovviamente non voglio fare di tutta l’erba un fascio) vi faranno la classica affermazione “guardi con la fattura sono tot, mentre se non vi serve è tot- 30%”.
Seppure questa premessa era necessaria e il mio punto di vista molto chiaro, in questo articolo non voglio entrare in discorsi etici, preferisco limitarmi ad analizzare il fenomeno dell’evasione fiscale dal lato aziendale.
In linea astratta un’azienda è spinta a fare nero in quanto è ovviamente convinta che, se facesse tutto in regola, le tasse cannibalizzerebbero tutti i profitti.
Siamo sicuri che questa affermazione sia corretta, e che talvolta non possa essere controproducente, e gli svantaggi vadano ben oltre i benefici?
Qui di seguito vi darò alcuni esempi (di aziende reali, con le quali sono venuto in contatto direttamente) su come non sia sempre vero.

  • C’era una volta l’azienda ALFA, titolare di un’attività di ristorazione in una grande città. L’azienda era a gestione familiare e, seppur non offrisse un grande servizio di qualità, l’attività riusciva a dare una buona remunerazione ai suoi soci. La percentuale di emissione degli scontrini fiscali era prossima al 30% del fatturato reale e, per ovviare ad alcune problematiche, gli acquisti venivano effettuati presso supermercati limitrofi non obbligati all’emissione della fattura. Il reddito annuo della società (che per trasparenza era quello dei soci) era prossimo alla soglia della povertà.
    L’azienda era in affitto nel locale di esercizio dell’attività e pagava, con regolare contratto, una cifra pari a € 2.500.
    Dopo alcuni anni il proprietario dello stabile per esigenze personale decise di mettere in vendita l’immobile e, ovviamente, la prima persona a cui fece la proposta fu il locatario. Quest’ultimo si fece immediatamente due conti: con un leasing immobiliare avrebbe avuto un esborso mensile di € 2.100, al di sotto del canone di affitto. Si precipitò precipitato presso la propria banca per farne richiesta. Ahimè dopo aver istruito la pratica, la banca espresse un parere negativo in quanto non erano presenti adeguate coperture. All’imprenditore nulla servì spiegare che “faceva” nero…
    La banca deve rispettare dei parametri nell’erogazione del credito tra cui il fatturato risultante dai libri contabili, e per tale motivo: niente leasing. Oltre al danno la beffa: il nuovo locatore acquisito l’immobile, approfittando del subentro e della scadenza del contratto, decise di incrementare il prezzo dell’affitto di un 20%…
  • C’era una volta l’azienda BETA, agenzia di pubblicità ben sviluppata e che lavorava con numerosi clienti. L’azienda era costituita da due soci che dividevano equamente il capitale sociale e la gestione.
    Tutto procedeva bene, i proprietari avevano un’ottima remunerazione, ai clienti persone fisiche e alle piccole società spesso non venivano emesse fatture e ricevute in cambio di corposi sconti sul prezzo.
    Un giorno però tutto cambiò: i due soci litigarono e uno dei due decise di andarsene dalla società, cedendo all’altro le proprie quote. Si dovette procedere con la stima del valore della società e, per effettuarlo, ci fu la necessità di una perizia ufficiale. I documenti dai quali partire erano ovviamente quelli ufficiali, come bilanci e dichiarazioni dei redditi, quindi il valore risultante fu di molto sottostimato.
    Il socio che acquistava le quote, intuì l’opportunità e cominciò a fare pressioni per acquistare al valore ufficiale, nonostante il socio uscente premesse per avere il valore reale ma si trovava difronte a un pericoloso dilemma: se avesse deciso di adire le vie legali per richiedere un valore maggiore, avrebbe tacitamente ammesso anni di evasione sistematica, che lo avrebbe potuto portare a guai più seri; se invece avesse deciso di non ricorrere alle vie legali, avrebbe ottenuto dalla vendita solo una piccola parte del valore reale delle sue quote.
    Sentiti molti pareri legali, si trovò costretto ad accettare le condizioni dell’altro socio e dovette rinunciare ad un bel po’ di soldi…
  • C’era una volta l’azienda GAMMA che svolgeva l’attività di costruzione di mobili in legno. L’azienda per tutti i lavori (soprattutto quelli di piccole dimensioni) verso privati, sovente “dimenticava” di emettere l’adeguata documentazione fiscale. Il commercialista che sin dall’apertura si occupava dei conti aziendali, per evitare di farla insorgere in accertamenti fiscali e per far quadrare gli studi settore, consigliava caldamente di contrattare con i fornitori del legno condizioni migliori omettendo la fatturazione di alcuni carichi.
    Tutto procedette bene fino a quando, un maledetto corto circuito notturno fece prendere fuoco all’intero magazzino. L’imprenditore era però abbastanza sereno in quanto l’azienda aveva la merce assicurata. Peccato che la quantificazione della merce avvenisse solo dietro presentazione delle fatture di acquisto. Inutile dire che il risarcimento dell’assicurazione fu di natura irrisoria rispetto a quanto distrutto nell’incendio…

Questi esempi reali illustrati sono ovviamente dei casi limite, ma spero ingenerino negli imprenditori la riflessione se sia effettivamente conveniente, talvolta, rischiare grosso per mettersi in tasca qualche soldo in più.
Concludo con un auspicio: quello di non sentirmi rispondere dagli imprenditori alla mia domanda sull’andamento della loro azienda, “l’azienda mi da un guadagno ma non riesco a pagare le tasse”.
Seppur palese che nel nostro paese le tasse siano molto elevate, se la vostra azienda non copre i costi, inclusi tasse e contributi, c’è qualche cosa che non va.

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