Marketing & Communication

Discorsi sul Metodo – Fenomenologia dell’imprenditore insoddisfatto

imprenditore insoddisfatto

L'imprenditore insoddisfatto trova sempre motivi per incolpare il mercato digitale della crisi. Perché invece non adattarsi e abbracciare nuove opportunità?

L’online in questo momento opera in condizioni di monopolio”. Così Mauro Bussoni, presidente della Confesercenti si riferisce ai mercati digitali in una intervista all’huffpost. E ne ha tutte le ragioni: lo sappiamo tutti che il mondo digitale non è assolutamente e in nessun modo eterogeneo. Il web è una grande azienda, un impero così forte da schiacciare i piccoli imprenditori attraverso i suoi sgherri e i vassalli che conquistano le case di milioni di italiani.
Ecco quindi 5 validi motivi per incolpare il mercato digitale della crisi e degli insuccessi durante la pandemia:

  • Amazon ci toglie i clienti. È veramente impensabile nel 2020 che delle persone, da casa, possano smettere di visitare i negozi di zona per cercare prezzi più convenienti altrove. È scorretto e ingiusto per noi che ci spacchiamo la schiena così onestamente.
  • Ci costringe a pagare le tasse. Dove sono finiti i bei vecchi tempi quando lo scontrino era opzionale, e potevo tenere i soldi sotto al letto?
  • Il web ci costringe ad essere più competitivi. Amazon offre servizi che noi neanche lontanamente ci saremmo immaginati di dover offrire. Assistenza post-acquisto? Reso? spedizione gratuita? Noi non potremmo mai fare affidamento sulle nostre qualità di sede fisica e offrire un servizio che soddisfi il cliente, mai vi dico. Del resto, chi ci paga lo fa per consumare, non per il servizio che offriamo, deve solo dare i soldi perché paghiamo la logistica, noi non contiamo nulla e il nostro lavoro è quello di fare da macchina di distribuzione.
  • Amazon è un egemone monarca e ci rende schiavi. Sicuramente gli fa comodo che le persone stiano on line, questo è tutto un complotto del governo per tenere le persone lontane da noi poveri e bistrattati esercenti che non potremmo mai competere con l’inarrivabile colosso. Non è mai successo che un sito come Ebay rendesse possibile aprire un proprio spazio all’interno della piattaforma, quelli sono solo prodotti del capitalismo consumista che mai andrebbero a giovamento di piccoli artigiani che possono acquisire visibilità nel marketplace. Sicuramente queste piattaforme non sono strumenti utili. Sono servi del capitalismo.
  • Ci costringe ad innovare. Scusateci, ma non abbiamo ancora digerito questa storia del Pos, è una ferita ancora aperta. Costruirci uno spazio per l’e-commerce e per il delivery ci risulta impossibile. Non veniamo in nessun modo aiutati e ci costringono perfino a pagare le consulenze, che modi. Pare che lavorino solo loro. Quindi chiediamo a tutti di rimanere a casa, anzi di rischiare la salute e venire in negozio da noi la domenica. Ah questi maledetti supermercati, mi hanno mandato sul lastrico. Come dici? Anche loro hanno accusato il colpo?

Un insieme contraddittorio, ma comprensibile

Dopo questa grottesca carrellata di luoghi comuni e parossismi non si può però lasciare l’argomento su un tono di scherzo, nonostante gli eventi recenti facciano fortemente pensare il contrario. Le motivazioni che spingono i commercianti a lamentarsi del medium digitale sono davvero innumerevoli e la loro paura, visto il calo di fatturato e di prospettive per il futuro, è più che ragionevole.
Del resto quelli che prima erano considerati vantaggi competitivi, come posizione, quantità di merce e clientela locale sono stati praticamente annullati, sia dai valori di scala radicalmente diversa delle multinazionali, sia dalla pandemia. Il problema radicale di queste lamentele è un misto tra lo stantio aggrapparsi al vecchio modello di business che fino a qualche anno prima avrebbe continuato a funzionare, e la grande diffidenza che gli stessi commercianti portano verso i nuovi media di cui sanno poco o nulla, e spesso per loro volontà.

Le problematiche: mancata fiducia e mancata educazione al digitale

La mancanza di questo tipo di fiducia, inoltre, li porta a non valutare mai i loro vantaggi nella competizione con i colossi online, andando a dimenticare le qualità che in quanto negozi fisici li rendono indispensabili (oltre a quello di costruirsi un marketplace digitale). Ad essere più chiari, il loro essere persone, e il poter instaurare relazioni di clientela. I commercianti si sono dimenticati di loro stessi. E questo fa crescere la loro frustrazione.
C’è poi da considerare il senso di abbandono da parte dello stato. C’è anche da dire infatti che rispetto all’iva che gli imprenditori locali versano allo stato Italiano, Amazon in quanto multinazionale paga le tasse all’estero pagando radicalmente di meno. Un gap non colmabile sul piano competitivo.
Senza contare che le condizioni che Amazon fornisce non sono sempre rosee (ma questo andrebbe a riguardare tematiche ben più complesse che vanno a insidiarsi nel cuore del sistema capitalistico e consumistico). Eccoci arrivati quindi allo stato di disfiducia generale verso il mondo digitale che, a detta delle associazioni, ruba loro i clienti.
Da questo nasce il più grande dei problemi: educare una persona diffidente è pressoché impossibile, perché questa non vorrà mai imparare da quello che vede come suo nemico, e come Chisciotte, quello che si è combattuto era soltanto uno strumento inerte.
C’è infine da tener conto che il consumatore, secondo le parole del funzionario di Confesercenti e dell’articolo di Repubblica, starebbe facendo così un atto di pietà, comprando da delle persone in difficoltà (e se fossi commerciante, per me sarebbe totalmente intollerabile, perché falso). Una sconfitta su tutti i fronti.
Quindi col veleno nel cuore e con un pizzico di voglia di fare, invito chiunque ad abbracciare le opportunità nuove del mercato perché questo ha sì delle regole interne, e senza conoscerle si rimane drasticamente indietro, ma anche forti mancanze che possono essere colmate.
L’invito è quello di valorizzare le proprie qualità caratteristiche e irriproducibili, il secondo è di aprirsi a nuove conoscenze. Alle volte è meglio chiedere una consulenza, o aiuto, che chiudere bottega. Aprire un marketplace può essere complesso, ma è il prezzo da pagare per adattarsi alle condizioni richieste dall’ambiente, e l’uomo, come le attività, ha bisogno prima di vivere, di sopravvivere, anche forzatamente. Adattarsi è sempre la prima delle necessità.
La colpa per concludere, non è mai da attribuire al cliente. Questi sceglie solo un servizio che ritiene migliore. E nonostante tutto si può essere migliori.
Voi che ne pensate dell’e-commerce? Preferireste pagare quel 10-15% in più per essere serviti e aiutati nella scelta dei prodotti?

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