Startup & Entrepreneurship

Startup innovative, PMI, coworking ed incubatori: le definizioni che fanno la differenza

Incentivi alle imprese e incubatori di startup

Startup innovative, PMI, coworking ed incubatori: le definizioni che fanno la differenza

Il legislatore si sta “barcamenando” tra tentativi di definizione e regolazione per nuovi fenomeni della realtà sociale e produttiva. Lo si è visto, ad esempio, con la definizione del “lavoro agile” nella recente legge sul lavoro autonomo o, ancora, con i tentativi regionali di sistematizzare il mondo dei coworking. L’attività del legislatore ha, però, un sapore agrodolce, fatto di alcuni successi, ma anche di alcuni abbagli.
L’articolo, dunque, consta di tre paragrafi. Nel primo, si forniscono chiarimenti in merito alla definizione di alcuni fenomeni e istituti rilevanti; nel secondo, si affronta l’estensione della disciplina fiscale derogatoria e degli incentivi concepita in origine per le startup innovative e applicata oggi anche alle PMI (art. 57, d.l. 50/2017); nel terzo, si affronta la vicenda che vede come protagonisti il MISE e gli incubatori di imprese innovative, in merito al sistema di certificazione per l’accesso agli incentivi.

La difficoltà del definire, tra coworking, startup innovative, acceleratori e incubatori

Si consideri questo un paragrafo metodologico. Capire di cosa si sta parlando è quanto mai necessario per colui che si approccia a regolare un istituto. Come si vedrà più avanti, il MISE ha abbracciato un concetto di incubatore basato sullo “spazio”, diverso rispetto al modo di intenderlo degli attori di mercato e degli esperti, che danno piuttosto valore all’“attività”.
Un recente articolo afferma:

As with so many things there are many definitions – some better than others – for incubators, accelerators and co-working spaces. These terms are often used as if they are interchangeable. They are not.

Vengono così richiamate le definizioni proposte da il NESTA report (UK), Business incubators and accelerators: the national picture (Aprile 2017), di seguito tradotte per il lettore.
Per incubatore si intende un’attività che abbia le seguenti caratteristiche:

  • Durata non stabilita (attività che si basa sulle necessità dell’impresa piuttosto che su di un orizzonte temporale predefinito)
  • Tipicamente basato su un affitto/tassa
  • Il Focus è sullo spazio fisico piuttosto che sui servizi
  • Ammissione individuale e ad hoc
  • Messa a disposizione di servizi specifici come il tutoraggio e la formazione imprenditoriale
  • Spesso vi è a disposizione una serie di attrezzature tecniche come attrezzatura da laboratorio
  • Ammissione selettiva anche se meno rispetto agli acceleratori

Diversamente l’acceleratore possiede le seguenti caratteristiche:

  • Ha una durata fissa (tra i tre e i dodici mesi)
  • Normalmente retribuito in base alla crescita effettiva dell’impresa (pagamento tramite equity piuttosto che tramite una tassa)
  • Spesso offre seed funding
  • Il focus è sui servizi piuttosto che sullo spazio
  • L’ammissione avviene normalmente in blocco per un gruppo di imprese
  • Messa a disposizione di servizi specifici come il tutoraggio e la formazione imprenditoriale
  • Altamente selettivo

Quando si parla di coworking ci si riferisce ad una realtà un po’ diversa, anche se non scontata. Ho saputo recentemente di un operatore di mercato che, discutendo con la pubblica amministrazione italiana, si è trovato a spiegare la differenza tra incubatore e coworking per non rischiare di perdere gli incentivi. La causa? Due “accelerati” che avevano anche una postazione in un coworking!
Il coworking, come sappiamo bene (Se vuoi approfondire l’argomento puoi leggere questo articolo), mette a disposizione una combinazione di spazio di lavoro e servizi di base ad un prezzo accessibile oltre che a condizioni contrattuali agevolate. Lo spazio è normalmente un open space con un arredamento informale per facilitare il networking e il senso di community tra i lavoratori.
Forse, ai fini della trattazione, merita un richiamo anche la definizione di startup. Ne esistono di vari tipi, ma in generale, con essa si intende  una nuova impresa che presenta una forte dose di innovazione e che è configurata per crescere in modo rapido secondo un business model scalabile e ripetibile (Steve Blank, imprenditore seriale della Silicon Valley e autore di bestseller in tema come “The Startup Owner’s Manual”).

Si conclude il paragrafo metodologico con un passo dall’articolo sopra ricordato:

But enough of definitions – it’s just important that city practitioners and policy makers are able to differentiate between these different elements which all have unique places within an entrepreneurship ecosystem.

Gli incentivi alle startup innovative si estendono alle PMI?

L’art. 57 del D.L. n. 50/2017 (in fase di conversione) fa molte cose. In particolare, il comma 1 estende alle PMI costituite sotto forma di S.r.l. le disposizioni derogatorie alla disciplina civilistica già previste dal D.L. n. 179/2012 per le startup innovative e concernenti:

  • la libera determinazione dei diritti attribuiti ai soci, attraverso la creazione, nell’atto costitutivo della società, di categorie di quote fornite di diritti diversi;
  • la possibilità di effettuare un’offerta pubblica delle quote sociali, anche mediante equity crowfunding;
  • la deroga al divieto di compiere, da parte della società, operazioni sulle proprie partecipazioni qualora l’operazione sia compiuta in determinate condizioni (novella ai commi 2,5 e 6 dell’articolo 26 del D.L. n. 179/2012).

La relazione illustrativa e tecnica allegata al decreto affermano che il comma 1 è complessivamente finalizzato ad agevolare l’autonomo finanziamento delle PMI mediante capitale di rischio raccolto tramite privati, senza gravare sulle banche e sullo Stato, consentendo di dare piena attuazione a quanto previsto dalla legge di bilancio 2017, che ha consentito l’equity crowdfunding per tutte le PMI.
Ecco così che il legislatore, saltando da una definizione all’altra, fa un piccolo passo avanti nel sostegno al mondo produttivo (quanto gli consente la normativa europea e i vincoli di bilancio).
Perché “da una definizione all’altra”?
Perché nel passaggio da startup innovativa a PMI il legislatore si muove da una disciplina derogatoria in base all’attività a favore di una basata sul criterio dimensionale.
In via generale si ricorda che, ai sensi dell’articolo 2 della Raccomandazione della Commissione del 6 maggio 2003 relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese (2003/361/CE), la categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro.


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Il comma 2, art. 25, d.l. n. 179/2012 definisce, invece, la startup innovativa (al comma 3 anche la peculiare categoria “a vocazione sociale”) quella società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione.
Tra i requisiti da possedere:

  • È costituita e svolge attività d’impresa da non più di quarantotto mesi;
  • Ha la sede principale dei propri affari e interessi in Italia;
  • partire dal secondo anno di attività della startup innovativa, il totale del valore della produzione annua, così come risultante dall’ultimo bilancio approvato entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio, non è superiore a 5 milioni di euro;
  • Non distribuisce, e non ha distribuito, utili;
  • Ha, quale oggetto sociale la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico;
  • Non è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda.

Gli incubatori di imprese: nuovi requisiti per la certificazione

In questo ultimo paragrafo, al contrario, un salto di definizione che forse non ha giovato alle imprese.
Molto discusso il decreto del MISE (22 dicembre 2016) che ha inciso, a partire da Febbraio 2017, grazie ai poteri di revisione annuale previsti per il Ministero dal d.l. n. 179/2012 (artt. 25-32), i parametri per essere considerati incubatori certificati.
In base al decreto, le imprese che svolgono funzione di incubatore possono ottenere una certificazione dal MISE e godere, così, degli incentivi previsti (ad esempio, esonero dal pagamento dell’imposta di bollo per l’iscrizione nel registro delle imprese e del diritto annuale in favore delle camere di commercio, art. 26, deroghe al regime di remunerazione con strumenti finanziari, art. 27, agevolazioni per assunzione di personale, art. 27 bis, ecc.) .
Quella proposta dal MISE è una definizione di incubatore basata su diversi parametri (n. soci, qualità della connessione internet, attrezzatura messa a disposizione, ecc.) tra cui anche il requisito “spaziale”. È proprio quest’ultimo ad aver subito un innalzamento da 400 mq a 500 mq rispetto all’anno precedente, diventando di fatto, in base al calcolo dei punteggi, un requisito obbligatorio.
L’art. 5 del decreto MISE stabilisce che le società già iscritte nella  sezione speciale del registro delle imprese devono depositare, a pena di decadenza, la dichiarazione annuale di mantenimento dei requisiti in conformità ai nuovi parametri stabiliti.
È presente, ovviamente, un conflitto tra interessi pubblici e privati.

Il MISE rivendica l’interesse pubblico sia ad una sana erogazione del denaro pubblico, allo scopo di disincentivare realtà “certificate” che poco hanno a che vedere con acceleratori (anche se al 2017 ne risultano solo trentasei, dunque papabili di controllo senza eccessive spese per lo Stato); sia alla promozione di una maggiore dimensione delle realtà incentivate.
Gli operatori del settore, al contrario, considerano irragionevole rendere vincolante un innalzamento della superficie per l’ottenimento della certificazione (soprattutto per chi l’anno prima ha investito in 400 mq); è, infatti, l’attività quella che conta e non lo spazio, diversamente da quello che può valere, in un primo momento, per un coworking:
[bctt tweet=”Un incubatore non è fatto di mura, ma di persone. Francesco Inuscio, CEO Nuvolab” username=”spremute”]
E ancora sempre Francesco Inguscio, ceo di Nuvolab dice – “Che il legislatore inizi ad entrare più nel merito di cosa sanno fare queste persone e non di quante mura costruiscono: noi siamo costruttori di ponti tra mondi (quello della ricerca e quello dell’industria) e non di mura (di incomunicabilità che erige sistematicamente il legislatore tra se stesso e il mondo reale quando compie delle follie del genere”.
D’altra parte il legislatore sembra coerente. In entrambi i casi esaminati ha prestato nuova attenzione a requisiti dimensionali, numero di dipendenti e superficie dell’attività, quando invece nel 2012, nel pieno della crisi, aveva concentrato l’attenzione soprattutto alla tipologia di attività (innovazione ed assistenza all’innovazione).
Forse il segno di una situazione che si va normalizzando, uscendo dall’ottica dell’emergenza crisi?

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