New Ways of Working

Intervista a Rob Janssen – Part 1/3

rob janssen

La serie di interviste sullo smart working concept continua. Questa volta Lukas Hartog ha parlato con Rob Janssen, program manager IT del Ministero degli Esteri in Olanda. Lukas intervista per Spremute Digitali i suoi colleghi project manager ed esperti di Smart Working olandesi. Lo scopo è quello di capire qual è la loro visione sullo Smart Working e come cercano di creare l’organizzazione del futuro.

«La carriera di Rob Janssen ha avuto inizio nel mondo IT e lo vede ormai da tanti anni impegnato come professionista indipendente volto a integrare/combinare l’IT con la gestione del cambiamento (change management). È stato molto interessante fare una chiacchierata con lui: Rob conosce bene lo Smart Working e ha una visione chiara sul ruolo e la responsabilità del dipartimento IT in questo periodo di grandi cambiamenti tecnologici. Il suo punto di vista è importante perché ci aiuta ad analizzare un rapporto piuttosto complesso, cioè quello tra lo Smart Working, i primi a farne uso e il dipartimento IT».

Ciao Rob! Descriviti in poche parole.

Sono un professionista indipendente e mi occupo di progetti che integrano IT e scienza dell’organizzazione. Ho iniziato la mia carriera nell’IT “puro”, che è rimasta una base importante per l’attuale ruolo che ricopro come project manager, ma poi sono andato oltre. Credo che la conoscenza sul tema sia sufficiente, infatti gli specialisti IT non mi possono prendere in giro!!! Attualmente, come accennato, rivesto la carica di programme manager iDiplomacy presso il Ministero degli Esteri Olandese e sono il responsabile per la realizzazione del pacchetto tecnico/IT che permetterà ai diplomatici di svolgere in maniera più flessibile e moderna il loro lavoro.
 

Ho come obiettivo una grande sfida: arrivare a rendere essenziale l’IT per il raggiungimento degli obiettivi di un’organizzazione. La mia azienda si chiama 5.0 e, infatti, prevede alcuni passi aggiuntivi rispetto allo sviluppo 2.0. In questi anni sono nate continuamente questioni delicate da affrontare. Innanzitutto i tempi sempre più ristretti: dobbiamo pensare a come possiamo agire e svolgere attività orientate su direzioni radicalmente diverse. Fino ad alcuni anni fa pensavamo che tutto era “fabbricabile” e la maggior parte del nostro lavoro era guidato dal processo. Poi abbiamo capito che, in realtà, era la strada sbagliata.

Se mi chiedete quale sia il segreto del “buon lavoro”, credo che possa essere individuato nel fare ciò che ci piace e ciò che sappiamo fare. Se organizziamo così il nostro modo di lavorare, a mio avviso, il mondo sarebbe un posto migliore. Ritengo che molti di noi siamo ancora bloccati nella prima fase del triangolo di Maslow: svolgiamo un lavoro solo per soddisfare i nostri bisogni elementari.

Quando lavoravo per ING Real Estate, ho osservato come nessuno degli specialisti IT continuava a lavorare da casa, utilizzando il proprio computer; anzi, probabilmente, si limitavano a svolgere task solo per conservare il posto di lavoro. Questo mi ha fatto riflettere molto e mi ha permesso di capire che l’IT non era assolutamente considerabile come una delle mie passioni. Ritengo infatti che lavorare in questo modo non consenta di ottenere grandi cambiamenti nelle organizzazioni e quindi nel modo di lavorare. Dovremmo arrivare al punto in cui passione e lavoro interagiscano e si combinino tra di loro; solo allora si potrà creare una relazione empatica tra il worker, i suoi obiettivi e l’organizzazione presso cui lavora.

Spesso penso all’uomo delle pulizie della NASA: di notte mentre puliva uno dei corridoi (stiamo nel periodo precedente al momento in cui Armstrong metteva piede sulla luna) qualcuno gli ha chiesto perché lo faceva a quell’ora. La risposta fu: “I’m helping to put a man on the moon”. Questa è la mentalità giusta, questo per me vuol dire 5.0.

Lo Smart Working, cosa significa per te?

Libertà. La libertà necessaria per arrivare ad operare nel miglior modo possibile, svolgendo il proprio lavoro in base a dei risultati ben definiti. Smart Working è la possibilità di decidere dove, come e con chi fare il tuo lavoro. È un passo importante verso la mia visione 5.0. Qui al Ministero si conosce quanto sia alta la responsibilità dei professionisti per specifiche operazioni politiche, e si capisce come lo smart working concept venga percepito come fondamentale dall’Olanda e dal Ministero stesso.

Il Ministero ha intrapreso il progetto Smart Working due anni fa. Come va?

Sono impressionato dall’entusiasmo mostrato. Il Ministero si sta sviluppando molto velocemente; nonostante sia un’organizzazione tradizionale, sono molto contento di vedere tanta passione per questo concetto innovativo.
Il project manager dell’Autorità dei Mercati Finanzari Sandro Ansink (leggi l’intervista) si chiedeva perché i dipartimenti IT sono caratterizzati da una mancanza di capacità innovativa. Prima di iniziare il progetto Smart Working si aspettava un dipartimento IT che fosse moderno, innovativo. Concordi? Come spieghi tutto ciò?
Ansink ha ragione, ma buona parte di quel comportamento può essere spiegata. Nel lavoro IT si deve garantire un up-time, una disponibilità dei sistemi e delle applicazioni al 99,9%. Ciò è molto difficile: ci sono sempre delle situazioni non ottimali e il tutto crea insoddisfazione tra i lavoratori. Ogni cambiamento o innovazione nel tuo sistema diventa un rischio, perché rischi che qualcosa non funzioni più bene. Questa è la spiegazione che do circa l’attitudine, abbastanza negativa, dello specialista IT difronte alle innovazioni. Pensate che persino gli update di Windows devono essere testati completamente prima di essere installati! Ci tengo quindi a definire il loro lavoro come la gestione dell’IT, una cosa ben diversa dallo sviluppo IT.
Considerate, inoltre, che la maggior parte dei progetti Smart Working viene lanciata senza aver terminato lo sviluppo del dipartimento IT. Solo quando il project team ha stabilito un programma di smart working viene richiesto al dipartimento IT di facilitare e snellire il tutto. Questa pratica crea attrito in quanto l’IT non è stato coinvolto dal principio e quindi, come dicevo prima, si adatterà ancor meno ai cambiamenti.
Come le gestisci queste dinamiche? Per te come project manager è fondamentale che il dipartimento IT collabori?
Quando inizio un progetto, il primo step è quello di coinvolgere il dipartimento IT. Faccio una quick scan, che mi consente subito di riconoscere quali persone siano interessate al cambiamento e chi sia disponibile ad accettare nuove tecnologie e gadget. Il passo successivo consiste nell’assumere degli esperti esterni per la gestione dei sistemi dopodiché coinvolgo gli esperti interni con l’interesse per le innovazioni. In questo modo anche il dipartimento IT diventa il “protagonista” dei cambiamenti nell’organizzazione. Questa è una delle misure che mi sento di consigliare per creare un vibe positivo dell’IT in riferimento ad un cambiamento.


 
Continua leggendo la seconda parte dell’intervista: Consumerization dell’IT e Smart Working: intervista a Rob Janssen


 
Smartworking, lavoro agile

Intervista a Rob Janssen – Part 1/3

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