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La mentalità vincente: essere felici quando gli avversari sono difficili

mentalità vincente

La mentalità vincente sta nell'agilità di adattarsi. Un campione è chiunque accetti le sfide nella vita su un campo, ma anche in un’impresa.

Questa volta ho deciso di parlarvi di Mauro Berruto. Lo ammetto. Vorrei poter dire che lo conosco da sempre. E invece si tratta di un incontro quasi casuale e per lavoro. Così, con le mie poche conoscenze legate allo sport, mi sono imbattuta nella sua figura professionale e provo a raccontarlo per come l’ho vissuto.

Mauro BerrutoChi è Mauro Berruto

L’ho cercato in rete, mi sono informata. Dal 1990 svolge la professione di allenatore sportivo, con una lunga esperienza nel mondo della pallavolo maschile. Dal 2018 è incaricato, nell’ambito di un progetto orientato ai Giochi Olimpici di Tokyo 2020, del ruolo di Direttore Tecnico delle squadre nazionali (maschile, femminile, mixed team) di tiro con l’arco.
Ha operato nelle più importanti manifestazioni sportive (Giochi Olimpici, Campionati Mondiali, World League, World Cup, Campionati Europei, Grand Champions Cup, Champions League). È un keynote speaker su temi legati alla formazione e dello sviluppo delle risorse umane; ha pubblicato due romanzi, un saggio, una pièce teatrale; svariate collaborazioni giornalistiche completano il suo profilo professionale.
Un giornalista pubblicista, che ha ricoperto anche il ruolo di Amministratore Delegato della Scuola Holden di Torino, fondata da Alessandro Baricco e i cui soci sono Oscar Farinetti (Gruppo Eataly), Carlo Feltrinelli (Feltrinelli Editore) e Andrea Guerra (Gruppo Eataly).
Eppure, nonostante questi “Capolavori”, aprendo il suo ultimo libro si legge:

Ho voluto cominciare ad allenare perché ero scarso e non avevo talento sufficiente per diventare un giocatore di qualità. Non ho neanche il percorso di formazione che ci si aspetterebbe da chi fa il lavoro che faccio.

Un amico, ex pallavolista, mi ha consigliato di leggere un suo specifico contributo di cui riporto alcuni estratti:
“…Il passaggio come gesto obbligatorio per regolamento in un mondo che insegna a tenersi strette le proprie cose, i propri privilegi, i propri sogni, i propri obiettivi. Poi quella antipatica necessità di muoversi in tanti in uno spazio molto piccolo. Anzi lo spazio più piccolo di tutti gli sport di squadra! 81 metri quadrati appena…
…Non c’è nessuno che può schiacciare se non c’è un altro che alza, nessuno che può alzare se non c’è un altro che ha ricevuto la battuta avversaria. Una fastidiosa interdipendenza che tanto è fondamentale per lo sviluppo del gioco che rappresenta una perfetta antitesi del concetto con cui noi siamo cresciuti e che si fondava sulla legge: “La palla è mia e qui non gioca più nessuno”.
Infine ci si mette anche il punteggio e il suo continuo riazzeramento alla fine di ogni set. Ovvero, pensateci: hai fatto tutto benissimo e hai vinto il primo set? Devi ricominciare da capo nel secondo. Devi ritrovare energia, motivazioni, qualità tecniche e morali. Quello che hai fatto prima (anche se era perfetto) non basta più, devi rimetterlo in gioco. Viceversa, hai perso il set precedente? Hai una nuova oggettiva opportunità di ricominciare da capo.
Insomma questa pallavolo dove la squadra conta cento volte più del singolo, dove i propri sogni individuali non possono che essere realizzati attraverso la squadra, dove sei chiamato a rimettere in gioco sempre ed inevitabilmente quello che hai fatto, diciamocelo chiaramente, è uno sport da sovversivi!” (Testo pubblicato sul volume “Sogni di gloria. Genitori, figli e tutti gli sport del momento” della collana “Save the parents” di Scuola Holden edito da Feltrinelli).
Eccomi oggi descrivere l’incontro di persona. Più informata e con un testo davanti: il suo nuovo libro sopra citato, riferendomi ai suoi spunti autobiografici, – “Capolavori. Allenare, allenarsi, guardare altrove”, pubblicato da add EDITORE.

Allenare, allenarsi e guardare altrove può succedere anche in un’impresa

Da subito mi hanno catturata le prime pagine. Le sento vicine. Molto, nonostante il mio vissuto sportivo sia riconducibile a qualche abbonamento annuale in palestra nei momenti di maggiore volontà e costanza. Eppure mi ha emozionata.
Ha richiamato la mia attenzione in una fase storica dove la nostra soglia di attenzione è minore di quella di un pesce rosso, per colpa della tecnologia, o meglio, del nostro controllo da riequilibrare nel costante flusso d’informazioni che arriva da Whatsapp, LinkedIn, Twitter, Instagram, Facebook, mail e vari siti web.
Tra le tante, troppe notizie, che cerchiamo di leggere tutte, abbassando la capacità di concentrarci su una singola cosa, Mauro Berruto, con il suo affascinante storytelling, riesce a farmi focalizzare sulla fatica della preparazione, sulla cura dei dettagli e sulla previsione di ogni possibile situazione.
Allo stesso tempo, mi fa vivere la più vera delle situazioni quotidiane: nei momenti importanti, nessuna delle cose preparate sembrano essere utili. Ci sono dubbi, incertezze sull’essere o sul sentirsi pronti:
Quante volte ci si sente così. Prima di un esame a scuola, prima di un colloquio importante, prima di andare in scena, prima di un appuntamento che ci fa battere il cuore, prima della presentazione di un business plan. L’ora che aspettavamo è arrivata, ma siamo terrorizzati di esserci dimenticati qualcosa, pensiamo di essere pronti, ma non ci sentiamo pronti. Ripensiamo parola per parola a quel discorso che provato davanti allo specchio era perfetto, ma la realtà è completamente diversa da quello che ci aspettavamo.”
L’agilità è il concetto che mi ha catturata: “Un aggettivo che ha un significato legato alla fisicità, certo, ma che è anche un concetto intellettuale. Identifica chi è più veloce ad adattarsi, più rapido a sbarazzarsi delle zavorre, a cogliere prima degli altri alcuni dettagli, a orientare tutto ciò che sta facendo verso il proprio obiettivo senza dispersioni di energia.
Insomma vincerà se saprà essere più leggero. Qui e ora. Questa è la mia monoidea. 
Il nostro cervello, talvolta, funziona in un modo curioso. A me, in quel momento, torna in mente la stessa leggerezza che ho evocato prima.”
Molti passaggi del suo libro, indipendentemente dall’essere sportivi o meno, fanno ben comprendere come un campione sia chiunque accetti le sfide nella vita:
La mentalità vincente va oltre il numero di trofei che si custodiscono in bacheca, ma passa attraverso quello che William Turner ci ha insegnato con i suoi quadri: siate felici se i vostri avversari sono difficili da battere.”
Il campione è una persona che cerca sempre di migliorare, fino a spingersi quasi all’ossessione. Allenare, allenarsi e guardare altrove può succedere su un campo ma anche in un’impresa, in una famiglia o in una scuola.


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Mentre lo ascoltavo parlare in “Vita da Campioni” (il format ispirazionale di ELIS) e riflettere su come un allenatore possa trasformare le squadre con un Potenziale in Risultato, partendo dalla capacità di guardare le cose in modo diverso, mi ha colpita la visione concreta ed efficace della mentalità vincente: essere felici quando gli avversari sono difficili. E allo stesso tempo la poetica visione di allenatore come persona che “allena al desiderio di…”.
Difficile con del testo emozionarvi come sentire la sua voce narrante recitare, in chiusura di presentazione, “Itaca”, la meravigliosa poesia di Konstantinos Petrou Kavafis dedicata a chi ha una mèta da raggiungere. Credo possa avvicinarsi solo una delle più potenti frasi qui racchiuse:

“Sempre devi avere in mente Itaca. Raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio”

La mentalità vincente: essere felici quando gli avversari sono difficili

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