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Hai mai pensato a cosa per te è davvero rilevante? Consigli di semplificazione

percorso di autocoaching

Continua il viaggio, il percorso di autocoaching con Gaia Corazza che in questo articolo prende la direzione della rilevanza.

Non puoi dire di sapere una cosa se non la sai spiegare ad un bambino o ad una nonna. Più o meno recita così questa citazione nota, e che porta alla luce l’importanza della scelta delle parole e il valore della fatica nella trasformazione della complessità a favore della comprensione. Una premessa fondamentale in questo cammino di coaching condiviso sotto forma di interviste che sto facendo con Gaia Corazza. Siamo alla quarta tappa di questo viaggio che per i lettori può rappresentare un esperimento di Auto-Coaching.
Dalle basi del Coaching, siamo passate alle domande potenti e all’utilizzo delle metafore, per giungere la volta scorsa al valore delle relazioni e della leadership. Ripercorrendone gli step, è chiaro il nostro obiettivo: perseguire la semplicità, da non confondere con la banalità. Essere semplici non significa essere superficiali, ma andare all’essenza, al nocciolo delle cose, al cuore della questione. E nel cuore c’è la realtà.
In un mondo in cui tutto sembra essere sempre più rappresentazione, c’è ancora più bisogno di parole che facciano toccare la realtà, di parole legate all’esperienza. Non si ricerca la verità, che diventa giudizio nella sua azione, ma di vera e propria priorità data alle parole vive, sentite. Far emergere la rilevanza. Partiamo allora da qua.

Cos’è per te rilevante? Percorso di autocoaching per arrivare all’essenza

percorso di autocoaching

Come arrivare all’essenza? Cosa è per te rilevante?

Q. Gaia, ci siamo molto soffermate su questa parola. Cosa significa “rilevante” soprattutto in un mondo che ha un costante rumore di fondo, dove tutti parlano e tutti scrivono?

Gaia Corazza

Gaia Corazza


A. Fare o dire qualcosa di rilevante per me significa offrire un contributo, che per un attimo fa fermare e attiva l’ascolto; c’è un momento di “stop” che attiva una connessione fulminea con un vissuto e promuove una riflessione che farà crescere la consapevolezza. Affinché questo accada la parola deve essere viva, una parola di carne e ossa, che esercita un forte richiamo alla realtà della vita e non ad una mera rappresentazione cognitiva.
Spazio, tempo e relazione sono gli ingredienti fondamentali della nostra esperienza umana e quando una parola, un’azione, un evento sono rilevanti, il tempo si ferma per un attimo, la percezione dello spazio si modifica e cambia la relazione tra le parti dell’esperienza e le sue concettualizzazioni. Noi che ci occupiamo di relazione maieutica diciamo che avviene uno “shift“, cioè un rapido spostamento nel panorama interno dei significati.
Q. Devo chiedermi cosa e quando è rilevante qualcosa. Io mi sono risposta che per me è rilevante ciò che mi fa fermare e ascoltare. E da qui sono arrivata alla consapevolezza che solo nell’ascolto profondo c’è la realtà. È emersa così l’importanza di cercare parole e situazioni che mi facciano fermare e non accelerare per accogliere la realtà. A parole sembra facile, che domande mi consigli per aiutarmi a rallentare?
A. Ci sono molte domande, cara Valentina, che possono aiutarci a rallentare, ad esempio: “Cosa c’è adesso?” “Cosa sei disposta a lasciare?”Cosa cerchi?”Cosa vuoi raggiungere?”Che contributo vuoi dare?”Di che cosa sei responsabile?”.
Sono solo alcune delle mille domande che attivano una ricerca trans-derivazionale, cioè quelle domande per rispondere alle quali non è sufficiente aprire un cassetto di informazioni, ma bisogna andare alla ricerca di significati, creare nuove connessioni e per fare questo occorre fermarsi a riflettere.

Q. Dalla discussione è uscito il tema del lavoro sacro. Un argomento che mi ha subito fatto pensare all’articolo recentemente scritto da Pietro Cum, Amministratore Delegato di ELIS – l’organizzazione in cui lavoro: “Siamo ciò che facciamo, ma la differenza è nel come e nel perché.” Così inizia, per sottolineare l’impatto sociale che ogni lavoro, direttamente o indirettamente, ha e chiude con la sintesi del suo pensiero: “Lavorare bene per servire gli altri e la società. Così ne vale davvero la pena”. Con te ne abbiamo esplorato la sua relazione con la rilevanza e la realtà. Mi dai tu la tua visione di lavoro sacro, collegandolo a questi due concetti?

A. Seguendo il filo logico della conversazione, ti posso dire che il lavoro sacro è quello rilevante ed il lavoro è rilevante quando trasforma il mondo, quando genera un impatto. Questo può accadere con qualsiasi genere di lavoro, quello che lo rende rilevante e quindi sacro è la temperatura del cuore con il quale viene svolto, è il senso di servizio, la cura che metto in ogni gesto del mio lavoro, in ogni parola che pronuncio nella piena consapevolezza che le conseguenze di ogni nostro atto sono infinite.
Il lavoro diventa sacro quando mi assumo la piena responsabilità dell’impatto che ogni mia azione produce, quando compio ogni azione del mio lavoro come se dovesse venire consegnata all’eternità.

Q. Qui ho pensato ad un’integrazione insolita. Vista la citazione, ho chiesto anche a Pietro Cum la sua visione di lavoro sacro.

Pietro Cum

Pietro Cum, Amministratore Delegato di ELIS


P. C. : Valentina, mi ha molto colpito questa associazione tra lavoro e sacralità, che di solito immaginiamo legata alla religione e al culto. Ma a pensarci, questa tua intuizione funziona benissimo: l’esperienza del sacro è infatti un andare oltre il reale come normalmente lo percepiamo, è dare un senso nuovo e più profondo all’apparenza.
E nel caso del lavoro è proprio così. Innanzitutto, perché il lavoro è identitario: ci definisce come persone (sono un medico) e crea per noi un ruolo nella società. E questo già ci conduce all’interno di un terreno sacro, quello esistenziale.
E poi, perché molto di noi lo racconta il perché e il come lavoriamo: il lavoro infatti ha sempre un impatto sociale ed è in grado di cambiare il mondo. Lo cambia nella sostanza, oltre che nella forma, e quindi se fatto bene e con l’intento di essere servizio per gli altri, allora diventa davvero “lavoro sacro”.

Q. Nella mia visione di lavoro sacro abbiamo intercettato due parole chiave, spesso abusate: cura e generosità. Mi dai una tua definizione?

A. La cura è un atteggiamento che scaturisce dalla profonda consapevolezza della fragilità dell’umano, dalla delicatezza e dal rispetto che merita ogni essere vivente. Avere cura significa salvaguardare la vita, tenere accesa la sua luce anche quando la notte si fa scura.
La generosità mi richiama invece alla mente il concetto di dono; quando entriamo nel territorio del dono ci spostiamo dal campo della quantità a quello della qualità ed è proprio in questo nuovo campo che si genera valore aggiunto e avviene la trasformazione.
Se mi limito a dare solo quello per cui ricevo un corrispettivo transazionale, non genero valore aggiunto, il gioco è a somma zero. La generatività, cioè un gioco a somma maggiore di zero può manifestarsi solo quando do di più, allora c’è valore aggiunto. Quando ognuno di noi fa e dà più di quello che deve, gratuitamente, quello è un gesto d’amore e dall’amore nasce la vita.

Q. Ci regali tu una frase che pensi in linea con i temi discussi per chiudere questa nostra sessione?

A. Cara Valentina, mi piace chiudere questo incontro con la magia delle parole del mistico Rumi che include tanti punti che abbiamo toccato:

Ogni mattino un nuovo arrivo: gioia, scoraggiamento, malignità. Un attimo di consapevolezza giunge, ospite inatteso. Dai il benvenuto a tutto e a tutto estendi la tua premura. La condizione umana è una locanda. Tratta ogni ospite con il dovuto rispetto.

Hai mai pensato a cosa per te è davvero rilevante? Consigli di semplificazione

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