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Quanto consuma la tua azienda?

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Quanto consuma la tua azienda?

In un’azienda dopo i costi per il personale una delle maggiori spese che si mette a bilancio è la gestione della sede, includendo in questa voce affittoutenze.
Ora se in una piccola azienda le utenze sono trascurabili, in quanto i margini di riduzione dei costi sono piuttosto bassi, in aziende medie e grandi i numeri a fine anno risultano importanti.
Il tema va affrontato da due punti di vista, interconnessi, che rappresentano le due domande che un CEO dovrebbe porsi sull’argomento.
Il primo aspetto riguarda la qualità dell’ambiente di lavoro: nella sede c’è un comfort ambientale adeguato? L’illuminazione è corretta? La potenza elettrica disponibile è idonea agli usi presenti e a quelli ipotizzabili? Come è la qualità dell’energia che ricevo dal distributore?
Il secondo aspetto fa in un certo senso il percorso inverso: fissato uno standard qualitativo aziendale (che spesso manca o è ridotto al mero rispetto della normativa specifica) e un consumo di risorse primarie (elettricità, gas, ecc.) bisognerebbe chiedersi almeno due cose: per quello che ho potrei spendere meno? Spendendo la stessa cifra potrei avere di più in termini di qualità degli ambienti di lavoro?
Da una parte abbiamo quindi i costi, e gli sprechi, dall’altra invece la qualità dell’ambiente di lavoro che offriamo al worker. Nulla di più sbagliato è mettere in contrapposizione i punti di vista. Primo perché non è detto che ridurre i costi delle utenze significhi abbassare i servizi – anzi se l’intervento è studiato adeguatamente è esattamente il contrario. Secondo perché un ambiente di lavoro confortevole permette al lavoratore di rendere di più e questo in un bilancio aziendale costi/benefici probabilmente vale di più di un taglio lineare sulle bollette.
Analizziamo quindi i principali strumenti normativi che regolano in Italia la materia del risparmio energetico.
Il D.Lgs. 102/2014 impone alle grandi imprese ed alle aziende energivore (per le definizioni rimando al sito dell’Enea) l’obbligo di effettuare la Diagnosi Energetica (DEO) dell’azienda, vale a dire una valutazione sistematica, documentata e periodica dell’efficienza dell’organizzazione del sistema di gestione del risparmio energetico. Le diagnosi vanno eseguite entro il 2015.
Tutti gli immobili inoltre devono essere dotati di Attestato di Prestazione Energetica (APE), necessario ad identificare il consumo annuale di energia dell’edificio, già dal 2005 (fino al 2013 aveva il nome di ACE). Ricordo solo, rimandando un approfondimento alla lettura del D.lgs. 192/2015 e ss. mm. ii., che i contratti di vendita e di locazione privi di APE sono nulli.
In entrambi i casi sono previste sanzioni per chi non adempie agli obblighi normativi.
Lo scopo del legislatore, che ha recepito la normativa comunitaria in merito al risparmio di energia, è quindi quello di incentivare da una parte la riduzione dei consumi e dall’altra di promuovere un risanamento degli edifici. La logica, purtroppo ad oggi ancora mal comunicata, è quella di intervenire sul mercato immobiliare delle vendite e delle locazioni, rendendo più appetibile l’immobile in classe A rispetto a quello in classe G.
Perché allora questi strumenti non funzionano (APE) o rischiano di non funzionare (DEO)? Perché l’APE si è trasformato in un pezzo di carta utile solo alla compravendita e che si cerca di pagare il meno possibile? Perché le diagnosi energetiche vengono fatte solo in quanto obbligatorie senza capire la potenzialità dello strumento?
A mio avviso non è solo colpa del legislatore se questi strumenti non funzionano. Come Paese non abbiamo culturalmente compreso che la riduzione dei consumi e delle emissioni riguarda in primis ognuno di noi (in termini di quello che respiriamo) oltre al fatto che non si tratta di un tema solo etico ma economico (green economy) su cui paesi più attenti e lungimiranti del nostro stanno legando lo sviluppo industriale dei prossimi decenni.
Spesso inoltre davanti a proposte di interventi migliorativi la risposta è che i tempi di ritorno sono troppo lunghi o che l’investimento è troppo elevato. Credo che gli investimenti in questo settore possano/debbano essere collocati da un’azienda tra quelli strategici, anche perché esistono una serie di strumenti ancora poco conosciuti che permettono di accedere a finanziamenti, prestiti, emission trading riducendo se non addirittura azzerando l’investimento iniziale da parte dell’azienda.
Concludendo il mio consiglio è quello di scegliere sedi che abbiano buone prestazioni energetiche o che abbiano le caratteristiche per essere migliorate. Fare inoltre la diagnosi energetica del proprio sito produttivo è la base di partenza per consumare, e quindi spendere, meno e per dotare la propria azienda di quella qualità ambientale necessaria a garantire un lavoro agile ed in linea con le tendenze del mercato.
Carlo Gonnelli, DNARCH, Spremute Digitali, Magazine OnlineArchitetto. Manager. Cofounder e CEO di DNARCH società di architettura e ingegneria. Progettazione energetica, pragmatico sognatore. E-Mail: [email protected]Roberto Ferabecoli, DNARCH, Spremute Digitali, Magazine OnlineArchitetto. Docente di Tecnologia. Tecnico Acustico Competente. Cofounder di DNARCH società di architettura e ingegneria. Convinto assertore della contaminazione tra competenze per aprire nuove vie di ricerca. E-Mail: [email protected]

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